L’esilio di Cicerone

L’esilio di Cicerone fu la conseguenza dello scandalo provocato dal comportamento sconsiderato del giovane Publio Claudio Pulcro, il celebre oratore infatti per  avere salva la vita, venne costretto dalla situazione che si era creata, ad allontanarsi da Roma.

L’ESILIO DI CICERONE, LO SCANDALO DI PUBLIO CLAUDIO PULCRO.

Quando Cicerone si presentò a testimoniare per la messa in stato d’accusa verso il giovane aristocratico Publio Claudio Pulcro, non poteva sapere che quell’atto avrebbe segnato profondamente il suo futuro, non solo politico, ma anche di uomo. Il processo che era stato avviato vedeva al centro dell’attenzione un giovane di buona famiglia, che pare avesse instaurato un rapporto molto intimo con Pompea, moglie di Giulio Cesare. Sembra che il giovane fosse tanto innamorato di lei da non poter stare troppo tempo senza riuscire a vederla, decidendo di farle visita persino durante le celebrazioni notturne dedicate alla Dea Bona, sfidando la rigidissima tradizione romana,  che voleva che questi rituali dovessero essere svolti da sole donne, ed  era vietatissimo per gli uomini anche solo avvicinarsi. in quell’anno, il 62 a.C., la madre di Giulio Cesare, Aurelia, organizzò le celebrazioni nell’abitazione di famiglia, così lo scaltro Publio Claudio Pulcro, approfittando del fatto che neppure lo stesso Cesare poteva avvicinarsi alla sua casa, decise di mascherarsi da donna per riuscire ad introdursi nell’abitazione ed incontrare la sua amata. Purtroppo per lui però, la sceneggiata non durò a lungo, perchè venne quasi subito scoperto e smascherato, provocando uno scandalo di grande portata, che costrinse lo stesso Cesare a ripudiare la moglie, seppure non vi fossero prove certe di un tradimento.

L’anno successivo il processo ebbe inizio e il giovane Publio negò ogni addebito, sostenendo anzi che in quella sera particolare, egli non poteva trovarsi nell’abitazione di Cesare perchè era ospite a Interamna (Terni), a casa di un amico. Il suo complice confermò la sua presenza a Terni, ma la testimonianza di Cicerone  che ammise di aver visto, proprio davanti alla sua casa , il giovane Publio, lo stesso giorno del misfatto, fece crollare il fragile alibi. Incredibilmente però, a togliere dagli impacci Publio Claudio, fu lo stesso Cesare, evitando di testimoniargli contro, seppure avesse ripetutamente insidiato sua moglie Pompea. La mancata testimonianza di Cesare fece guadagnare al futuro conquistatore delle Gallie, un nuovo alleato politico, mentre a Cicerone un nemico pericoloso da cui guardarsi con preoccupazione.

L'esilio di Cicerone
L’esilio di Cicerone

L’ESILIO DI CICERONE,  PUBLIO CLAUDIO, DIVENTA PUBLIO CLODIO:

nel 59 a.C., anno del primo consolato di Cesare, Publio Claudio venne lanciato dal suo nuovo alleato nella contesa politica, come tribuno della plebe. Il giovane però, che era di famiglia patrizia, non avrebbe potuto assumere tale carica, ragion per cui ottenne in quei giorni di farsi adottare dal giovane plebeo Publio Fonteio, divenendo anch’egli plebeo a tutti gli effetti, così il nome patrizio di Claudio venne tramutato nel plebeo Clodio. La nomina a tribuno della plebe di Clodio rappresentava ora un serio pericolo per Cicerone, verso il quale il giovane nutriva un grande odio per averlo accusato solo pochi anni prima. Da quel momento in poi, tutta l’attività politica di Publio Clodio, mirava a mettere in difficoltà i nemici di Cesare, ma ancor di più a portare rovina a Marco Tullio Cicerone. L’azione politica del giovane tribuno si faceva via via sempre più pesante e in conseguenza di una sua proposta di legge l’ostico Catone venne spedito ad amministrare la lontana isola di Cipro. Catone cercò di convincere lo stesso Cicerone a seguirlo, se non altro per distogliere momentaneamente le attenzioni del tribuno Clodio nei suoi confronti. Cicerone declinò sperando che la stima che i tre triumviri nutrivano nei suoi confronti l’avrebbero messo al riparo da ogni vendetta, purtroppo per lui si sbagliava.

L’ESILIO DI CICERONE:

Publio Clodio continuò la sua offensiva e promosse una legge che prevedeva la morte civile verso chiunque avesse condannato a morte un cittadino romano senza che quest’ultimo avesse avuto la possibilità di appellarsi al popolo. Il riferimento verso Cicerone era chiarissimo, fu proprio lui infatti nel 63 a.C., a mettere a morte i congiurati che avevano preso parte alla ribellione di Catilina. Cicerone ne fu turbato, ma tutto sommato ancora confidava nella protezione dei triumviri, si era persino rivolto allo stesso Cesare che gli aveva offerto una via d’uscita non molto diversa da quella che gli aveva offerto Catone poco tempo prima. Cesare chiese a Cicerone di seguirlo nella sua prossima campagna di Gallia, allontanandosi così da Roma per un certo periodo, l’oratore romano non ne fu convinto,  ma anzi, preferì seguire il consiglio di Pompeo che lo convinse ad attuare con il tribuno Clodio, una tattica più aggressiva. L’errore fu grossolano, nel 58 a.C., Clodio riuscì a fare approvare la sua legge e per Cicerone furono guai seri. Cesare era già partito per le Gallie, mentre Pompeo trascorreva un periodo di villeggiatura fuori Roma, negandosi a chiunque richiedesse un suo consiglio o parere, anche i consoli in carica quell’anno, Aulo Gabinio e Lucio Pisone (suocero di Giulio Cesare) non si impegnarono molto nel garantire la protezione promessa a Cicerone, che politicamente era ormai isolato. Il grande oratore decise così di lasciare la città giusto poco tempo prima della sua condanna che prevedeva l’esilio, la confisca dei beni e la condanna a morte nel caso fosse stato catturato in un raggio di 750 chilometri dall’Urbe. Cicerone tentò di raggiungere la Sicilia, ma poi ripiegò verso Brindisi da dove si imbarcò verso la Macedonia e poi definitivamente arrivò a Salonicco dove trascorse la gran parte del suo esilio. L’esilio del grande uomo politico lasciò il segno nell’opinione pubblica a Roma, sempre più infastidita dall’accanimento di Publio Clodio nei confronti di una persona che comunque godeva di grande prestigio. La figura del giovane tribuno diventava nel tempo sempre meno popolare, anche perchè lo stesso non riusciva più a garantire le forniture di grano che il popolo apprezzava. I tentativi per far rientrare in patria Cicerone iniziarono a succedersi con regolarità, il 26 novembre del 58 a.C., il tribuno Fadio annunciò una legge per fare rientrare a Roma Cicerone, Clodio a sorpresa si schierò a favore, suscitando grande scalpore e sconcertando a tal punto il popolo che il tribuno Fadio, credendo a chissà quale trama si celasse dietro quel consenso, ritirò la proposta. Il 23 gennaio del 57 a.C., il tribuno Quinto Fabrizio organizzò una manifestazione in favore di Cicerone alla quale presero parte molti cittadini, ma le bande organizzate di Publio Clodio, attaccarono e dispersero i manifestanti.

L’ESILIO DI CICERONE, IL RIENTRO A ROMA:

Gli eventi erano ormai segnati, il 4 agosto del 57 a.C., su proposta dei consoli in carica venne redatta la legge che reintegrava il proscritto Cicerone, la legge trovò il sostegno di Pompeo e probabilmente anche dello stesso Cesare. Un mese più tardi Cicerone rientrò a Roma fra l’entusiasmo generale, anche il terzo triumviro, Marco Licinio Crasso che lo aveva sempre detestato si riconciliò con lui per l’occasione. Cicerone si riprese la scena, e con una serie di memorabili orazioni descriveva la sua miserabile condizione e nello stesso tempo biasimava chi avrebbe potuto proteggerlo e invece si era rifiutato di farlo. L’attacco era chiaro anche se lo scrittore romano evitò di mostrarsi apertamente ostile nei confronti di Giulio Cesare, lodando apertamente le sue conquiste in Gallia, ma segretamente accordandosi con Pompeo proprio in funzione anticesariana. Gli anni successivi avviarono la Repubblica verso il suo declino, l’assenza prolungata di Cesare, i difficili rapporti fra Crasso e Pompeo, rendevano sempre più instabile il triumvirato, non solo, le violente bande organizzate fedeli a Publio Clodio Pulcro, imperversavano e condizionavano l’attività politica, gettando sempre più discredito sulla fazione dei “populares”. Rientrato Cicerone, l’obiettivo era diventato Pompeo, un comportamento che segnò sempre di più il confine che divideva  Cesare, vero padrino dello stesso Clodio, e Pompeo. Lo stesso Cicerone continuerà a lavorare per aumentare la distanza fra i triumviri con l’ambiguità della sua politica che tendeva sempre di più ad esaltare gli interessi contrapposti dei tre grandi uomini, a seconda dell’esigenza.

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