A soli quindici anni si sposò con Valeria Massimilla, figlia del “cesare” Galerio, inoltre, pare per volontà dello stesso Diocleziano e di suo padre Massimiano, il futuro rivale Costantino e lo stesso Massenzio avrebbero dovuto subentrare come “cesari” di Costanzo e Galerio, ma poichè questi ultimi non li scelsero, optando per Massimino e Severo, i due futuri nemici assunsero il potere con la forza dei loro sostenitori. Costantino, nonostante tutto riuscì ad ottenere l’investitura ufficiale, Massenzio invece, venne dichiarato usurpatore.
Massenzio riuscì a tenere l’Italia e l’Africa sotto il suo dominio, facendo leva in particolare sul malcontento del popolo e della Guardia pretoriana, che vedevano declinare la propria importanza a vantaggio di altre capitali delle province, come ad esempio Treviri, Milano, Nicomedia, o Antiochia, Un altro importante fattore del suo momentaneo saldo potere fu senza dubbio il possesso della provincia africana che gli consentì inizialmente di assicurare a Roma un grande approvvigionamento di grano e olio.
Per qualche tempo Massenzio cercò di destreggiarsi tra le minacce rappresentate dagli eredi di Diocleziano, richiamando tra l’altro al potere suo padre Massimiano, e in secondo luogo cercando l’alleanza con Costantino, il cui potere in quel frangente era precario quanto il suo, attraverso il matrimonio con la sorella Fausta nel 307 d.C.. Il 21 aprile 308 d.C. Massenzio si proclamò “Augusto” legittimo.
Purtroppo per lui quello stesso anno rappresenta l’inizio della sua caduta, la rivolta della provincia africana guidata da Lucio Domizio Alessandro, l’inasprimento dei rapporti con il padre Massimiano e la morte del figlio Romolo, assestarono durissimi colpi ai suoi progetti.
Dopo la morte del padre Massimiano, costretto al suicidio da Costantino, Massenzio, a dispetto dei rapporti fortemente deteriorati, coniò monete recanti l’immagine del padre divinizzato e dichiarò di volerne vendicare la morte.
Dopo la morte di Galerio gli altri due augusti, Licinio e Massimino Daia, lasciarono a Costantino, che disponeva ormai in occidente di margini di manovra migliori che per il passato, l’onere di eliminare l’usurpatore. Costantino dopo aver vinto la battaglia di Verona impadronendosi così dell’Italia del nord scese verso Roma.
Massenzio invece che cercare riparo dietro la rinnovata e potenziata cinta muraria voluta una trentina di anni prima da Aureliano, uscì in armi con l’esercito, schierandolo però in modo poco oculato con il Tevere alle spalle. La battaglia fu disastrosa per Massenzio, non solo per l’esito, ma anche per egli stesso, che finì ucciso, decapitato e gettato nelle acque del Tevere, Costantino controllava così l’intera penisola italica, mentre a Massenzio venne decretata la “damnatio memoriae”.
Ultimo Imperatore a risiedere stabilmente a Roma, Massenzio pose da subito al centro del suo progetto la grandezza di Roma, e ciò è confermato dalle monete da lui fatte coniare, dove le immagini più ricorrenti erano la lupa che allattava Romolo e Remo, e Marte rappresentato sia come dio guerriero che come padre dei due leggendari gemelli. Dal punto di visto edilizio i suoi programmi seguivano la stessa linea, e l’inizio della costruzione della monumentale Basilica, poi completata da Costantino, la ricostruzione del vicino Tempio di Venere e Roma, l’innalzamento delle mura di Aureliano, e il completo restauro della via Appia fino a Brindisi, ne sono un chiarissimo esempio.
Altra maestosa testimonianza del suo prestigio è nella celebre Villa di Piazza Armerina in Sicilia, a lui ascritta.