Panem et Circenses

Locuzione contenuta all’interno delle satire del poeta romano, Giovenale, “Panem et Circenses”, fu una frase, molto in voga nella Roma Imperiale, e sintetizzava molto chiaramente le aspirazioni della plebe, tale modo di dire è giunto fino ai nostri tempi, e oggi può far riferimento a situazioni politiche piuttosto demagogiche.

panem et circenses
panem et circenses

Panem et Circenses, storia:

Lo scrittore e poeta romano Giovenale (nato ad Aquino fra il 50 e il 60 d.C., e morto a Roma dopo il 127 d.C.), era solito descrivere il luogo in cui viveva, in un’epoca nella quale chi governava, si assicurava il consenso popolare grazie a cospicue donazioni di grano (panem), e organizzando grandiosi spettacoli pubblici (circenses), tra i quali le celebri lotte fra gladiatori, ma anche lotte fra animali di diverse razze, oppure ancora le corse dei carri per le quali i romani erano veri fanatici. Circa 40 anni dopo le amare considerazioni di Giovenale che rimpiangeva la sobrietà e  l’austerità repubblicana, Marco Cornelio Frontone, anch’egli scrittore e oratore, si rammaricava delle stesse cose con queste parole: ” il popolo romano ormai si preoccupa soprattutto solo di due cose, le vettovaglie e gli spettacoli”.

Panem et Circenses, le festività nel calendario romano:

Le occasioni di assistere a spettacoli durante le festività, erano molteplici, da un calcolo sommario possiamo affermare che  in più della metà dei giorni dell’anno vi era una festività o una ricorrenza, senza contare poi che in più occasioni le celebrazioni si sovrapponevano, capitando nello stesso identico giorno. Non è tutto, oltre alle celebrazioni in Roma, vi erano anche le ricorrenze dei centri abitati più piccoli, feste di quartiere in occasione di nuovi santuari, celebrazioni di carattere militare, o ancora feste riguardanti l’introduzione di nuovi culti. Aggiungiamo inoltre tutte quelle che, a sorpresa, venivano patrocinate dagli Imperatori stessi, che in particolare nel II secolo d.C., potevano durare mesi interi, si può quindi immaginare che in quel determinato periodo storico, gli spettacoli fossero praticamente quotidiani. Svetonio, addirittura ci racconta che durante il principato di Augusto, quest’ultimo, nei giorni di particolare scompiglio, fu costretto ad arruolare uomini che sorvegliassero la città da eventuali azioni di brigantaggio, visto l’esiguo numero di residenti rimasti nelle loro abitazioni. Ancora Augusto, in merito agli spettacoli, fece approvare in Senato il decreto che attibuiva la prima fila di panche ai Senatori, in qualunque sito questi venissero organizzati, e vietò che ambasciatori di genti alleate potessero prendere posto nell’orchestra, separò inoltre i soldati dal popolo, attribuì ai plebei le proprie gradinate e impedì l’ingresso delle donne al teatro prima della quinta ora.

panem et circenses, la corsa dei carri
panem et circenses, la corsa dei carri

Panem et Circenses, significato religioso di alcuni spettacoli:

Originariamente ad ogni spettacolo era accomunato un culto religioso: per esempio la gara di pesca che si svolgeva l’8 di giugno, alla presenza del pretore, culminava con un grande banchetto costituito dallo stesso pescato, e come ci testimonia il grammatico romano, Sesto Pompeo Festo, costituiva un sacrificio di sostituzione in onore del Dio Vulcano, che accettava questo dono in pesci al posto di anime umane. Questo significato religioso sacrificale, che i romani avevano da tempo ormai dimenticato, ritornava però prepotentemente durante la corsa dei cavalli che si teneva il 13 di ottobre. In questa occasione il cavallo vincitore veniva immolato, il sangue da esso versato sarebbe servito per le lustrazioni (un’antica cerimonia di purificazione), mentre la testa sarebbe stata duramente contesa fra gli abitanti della via sacra e quelli della suburra per fregiarsi del cimelio del cosiddetto “Cavallo di ottobre”. Questa ricorrenza era legata alla corsa dei cavalli che organizzavano i primi latini per celebrare il termine della stagione militare che si svolgeva dalla primavera all’autunno. Il sangue del cavallo immolato anticamente doveva idealmente purificare l’intera città. Nel 105 a.C., nella Roma Repubblicana vennero istituiti dallo stato i combattimenti fra gladiatori, nati in origine come culto privato per omaggiare i propri defunti. Il carattere religioso venne conservato nel tempo grazie alla violenza e al sangue dei combattenti che avevano il compito di placare gli Dei, in particolare il poeta Ausonio lo definiva: “Sangue sparso sulla terra per placare il dio armato di falce”.

In epoca imperiale il popolo romano aveva oramai del tutto dimenticato questi richiami religiosi, tuttavia, in particolar modo dai tempi di Augusto, veniva adottata una certa “etichetta”, e gli spettatori che volevano assistere agli spettacoli dovevano per prima cosa indossare una toga per l’occasione, dovevano comportarsi in modo educato e non era consentito loro ne di mangiare ne di bere durante le contese. Comunque, nonostante, il pubblico fosse tenuto ad alzarsi in piedi durante le processioni inaugurali nelle quali sfilavano le statue degli Imperatori e degli Dei, l’antica impronta religiosa che permeava i giochi della Roma più antica, era diventata una pura formalità, non avendo di fatto più alcun rapporto verso certi riti arcaici , sostituiti in età imperiale dal simbolismo astrologico, così ben riscontrato all’interno delle arene. L’arena stessa costituiva infatti la terra, il fossato che le correva attorno, il mare, l’obelisco della spina centrale, rappresentava il sole, mentre i tradizionali sette giri di pista riproducevano le orbite dei sette pianeti,  dodici, come i segni zodiacali, erano invece le porte delle rimesse dei carri che si affacciavano sul circo.

panem et circenses, la lotta con gli animali
panem et circenses, la lotta con gli animali

Panem et Circenses, l’Imperatore e la folla:

Quando l’Imperatore compariva in arena o in teatro, il pubblico presente lo omaggiava alzandosi in piedi  agitando in aria dei fazzoletti bianchi, per manifestargli la propria partecipazione. Naturalmente l’Imperatore disponeva di questa folla come uno strumento politico, forgiando il suo rapporto diretto con il popolo presente agli spettacoli, e rafforzando quell’opinione pubblica, che insieme al potere del principe salvaguardava ciò che rimaneva della religione tradizionale. In una città dove circa 150.000 persone vivevano a spese dello stato e dove quelli che avevano un’occupazione, disponevano comunque mediamente di mezza giornata libera, gli spettacoli erano un’arma essenziale per incanalare le passioni e gli istinti del popolo. In conclusione, ancora Svetonio, ci tramanda di come Augusto adorasse i giochi, e di come lui stesso non ne fece mai mistero. Quando era obbligato ad assentarsi pregava i magistrati che lo sostituissero degnamente, e quando era presente assisteva agli spettacoli con grande attenzione e passione, al contrario di Giulio Cesare che preferiva occuparsi d’altro e per questo criticato in più occasioni dal popolo. Augusto nutriva particolare interesse per il pugilato, e non perdeva occasione per paragonare fra loro pugili latini e greci, non solo pugili in arena però, Augusto amava soffermarsi ad assistere anche ad incontri fra popolani a bordo strada, privi di una qualsiasi tecnica.  Agli atleti, Augusto, conservò i loro privilegi, anzi li incentivò, e proibì di far combattere i gladiatori senza un’adeguata ricompensa, ma pretese comunque sempre una rigorosa disciplina nelle competizioni tra gli atleti o nei combattimenti dei gladiatori.

 

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