Trattati tra Roma e Cartagine

I trattati tra Roma e Cartagine ebbero fondamentale importanza per le relazioni, non solo diplomatiche, tra le due potenze all’interno dello scacchiere del Mar Mediterraneo. Queste due città-stato riuscirono a diventare imperi, e ad un certo punto della loro esistenza ebbero la necessità di regolare le reciproche convenienze e le rispettive zone di influenza. Per secoli le due città operarono perfino da alleate e gli interessi economici e le metodologie di espansione erano le medesime, Roma non guardava al mare perché era impegnata prima a difendersi dai vicini, Etruschi, Galli e Greci e poi a sottometterli;
mentre Cartagine, senza un vero esercito cittadino e bloccata in Sicilia dai Greci, appariva indecisa sulla sua politica espansiva. Queste diverse priorità non sarebbero tuttavia bastate per evitare una “collisione”, ma alcuni opportuni trattati redatti tra le due potenze, garantirono un periodo di relativa tolleranza.

Aree di influenza sul Mediterraneo
Aree di influenza sul Mediterraneo

PRIMO TRATTATO TRA ROMA E CARTAGINE (509 a.C.).
Il primo trattato risale all’anno della fondazione della Repubblica, il 509 a.C. Durante la guerra con Ardea, Tarquinio il Superbo, Re etrusco di Roma, fu cacciato dalla città e per i romani divenne necessario poter mettere in sicurezza i propri approvvigionamenti che erano prevalentemente gestiti da mercanti etruschi. Come potenza marittima, Roma chiede l’appoggio di Cartagine.
Negli stessi momenti Cartagine era impegnata a fronteggiare i coloni greci che dall’Ellade arrivavano sulle sponde dell’Italia meridionale, limitando di molto i commerci punici con le zone più interne della Magna Grecia. Le guerre contro le colonie Greche avvennero dai territori spagnoli a quelli francesi, fino alle coste della Sardegna e della Corsica.
Polibio nelle sue “Storie” ci tramanda il primo trattato che così recitava:
“A queste condizioni ci sia amicizia fra i Romani e gli alleati dei Romani e i Cartaginesi e gli alleati dei Cartaginesi: né i Romani né gli alleati dei Romani navighino al di là del promontorio Bello, a meno che non vi siano costretti da una tempesta o da nemici. Qualora uno vi sia trasportato a forza, non gli sia permesso di comprare né prendere nulla tranne quanto gli occorre per riparare l’imbarcazione o per compiere sacrifici, e si allontani entro cinque giorni. A quelli che giungono per commercio non sia possibile portare a termine nessuna transazione se non in presenza di un araldo o di un cancelliere. Quanto sia venduto alla presenza di costoro, se venduto in Libia o in Sardegna sia dovuto al venditore sotto la garanzia dello stato. Qualora un Romano giunga in Sicilia, nella parte controllata dai Cartaginesi, siano uguali tutti i diritti dei Romani. I Cartaginesi non commettano torti ai danni degli abitanti di Ardea, Anzio, Laurento, Circei, Terracina, né di alcun altro dei Latini, quanti sono soggetti; nel caso che quelli non soggetti si tengano lontani dalle loro città: ciò che prendano, restituiscano ai Romani intatto. Non costruiscano fortezze nel Lazio. Qualora penetrino da nemici nella regione, non passino la notte nella regione. »
Si nota come dal trattato emerge che Cartagine non rinunciasse ad altro che attaccare il territorio laziale che tutto sommato, per i Cartaginesi, non destava forti interessi, al contrario li lasciava liberi di operare contro Greci ed Etruschi, potenze ben più temibili via mare.

SECONDO TRATTATO TRA ROMA E CARTAGINE (348 a.C.).
Sempre dalle “Storie” di Polibio:
” A queste condizioni ci sia amicizia tra i Romani e gli alleati dei Romani e i popoli dei Cartaginesi, dei Tirii e degli Uticensi e i loro alleati. I Romani non facciano bottino, né commercino, né fondino città al di là del promontorio Bello, di Mastia, di Tarseo. Qualora i Cartaginesi prendano nel Lazio una città non soggetta ai Romani tengano i beni e le persone e consegnino la città. Qualora i Cartaginesi catturino qualcuno di quelli con cui i Romani hanno accordi di pace scritti, ma che non sono a loro sottomessi, non lo sbarchino nei porti dei Romani; qualora poi un Romano metta mano su chi è stato sbarcato, sia lasciato libero. I Romani, allo stesso modo, non facciano ciò. Se un Romano prende acqua o provviste non commetta torti ai danni di nessuno di quelli con cui i Cartaginesi sono in pace e amicizia. Un Cartaginese, allo stesso modo, non faccia ciò. Altrimenti non si vendichi privatamente: se qualcuno lo fa che l’offesa sia pubblica. In Sardegna e in Libia nessun romano commerci o fondi città (…) se non finché abbia preso provviste o riparato l’imbarcazione. Qualora una tempesta ve lo trasporti si allontani entro cinque giorni. Nella parte controllata dai Cartaginesi e a Cartagine faccia e venda tutto quanto è permesso anche a un cittadino. Un Cartaginese faccia lo stesso a Roma. ».
Il trattato era più o meno il medesimo con l’aggiunta di qualche città come Tiro e Utica, ma qualcosa stava cambiando, per quale motivo il precedente trattato venne per così dire puntualizzato? Roma era in grande ascesa e la forte resistenza che opponeva alle ondate barbare di quel periodo, la facevano apparire forte e potenzialmente pericolosa, Se a Roma si puntava più al controllo e allo sfruttamento di un territorio, a Cartagine l’espansionismo era visto prima di tutto dal punto di vista commerciale, una differenza di vedute che negli anni si era venuta a marcare distintamente, questo nuovo trattato la definì diplomaticamente.

Ricostruzione virtuale dell'antica Cartagine
Ricostruzione virtuale dell’antica Cartagine

TERZO TRATTATO TRA ROMA E CARTAGINE (306 a.C.).
Nel 306 a.C. viene stipulato il terzo trattato fra Roma e Cartagine. Non se ne conosce il testo (Polibio non lo riporta). Roma accetta di non entrare più in Sicilia, mentre Cartagine si impegna a non mettere piede nella penisola. Si nota che anche questa volta Roma è in condizione di inferiorità perché, mentre in definitiva non cambiano i limiti per Cartagine, per Roma, che prima vi poteva commerciare a parità di condizioni, i mercati della Sicilia sono completamente chiusi. Se ne deduce che il trattato serve soprattutto a Roma per evitare di doversi concentrare su troppi fronti e controllare i territori a sud mentre è impegnata nell’espansione nel Sannio, e per evitare eventuali alleanze fra Cartaginesi ed Etruschi mentre combatte nell’interno dell’Etruria.
Mentre Roma era impegnata con le sollevazioni delle popolazioni sannitiche, Cartagine era alle prese con il clima surriscaldato che si respirava in tutto il Mediterraneo dopo la morte di Alessandro Magno. I generali del grande condottiero, spartendosi il vasto impero, diedero vita ad una serie di guerre che portarono alla totale disgregazione dello stesso, causando problemi in tutte le zone vicine.

QUARTO TRATTATO TRA ROMA E CARTAGINE (279 a.C.).
Il quarto trattato tra Roma e Cartagine fu stipulato nel 279 a.C., al tempo del passaggio del Re Pirro in Italia. Cosa stava succedendo per costringere a un nuovo patto due città, che fino ad allora, pur tenendosi prudentemente d’occhio, non avevano mai avuto necessità di arrivare ad uno scontro diretto?
In quest’ottica si inserisce il Re dell’Epiro, Pirro chiamato in aiuto dai tarantini dopo che i romani violarono un precedente accordo con la città, che a sua volta limitava i traffici marittimi di Roma. Lo scontro fu inevitabile e le navi romane ebbero la meglio su quelle di Taranto, che subito si mosse per aizzare una rivolta di tutte le popolazioni italiche contro l’Urbe. L’insuccesso di questa politica spinse i tarantini a chiedere aiuto in Epiro. Pirro sbarcò in Italia nel 280 a.C.
Dopo quasi due anni di guerre sul suolo italico e dopo moltissime perdite di vite umane, Pirro si ritirò a Taranto ferito e sfiduciato dalla forza dei romani. Nello stesso momento in Sicilia, Siracusa era in guerra contro Cartagine, e col fatto che Pirro aveva sposato la figlia del defunto Re della città greca, gli stessi gli offrirono la corona a patto che, sbarcato sull’isola, si fosse sbarazzato di tutti i Cartaginesi. Pirro accettò e le sue iniziali vittorie sui punici, spinsero Cartagine verso Roma. Questa volta Polibio ci racconta quanto scritto in questo quarto trattato:
“…in esso conservano tutti gli altri punti alle condizioni esistenti e a questi viene aggiunto quanto scritto di seguito: “Qualora facciano alleanza con Pirro, gli uni e gli altri mettano per iscritto che sia permesso portarsi soccorso a vicenda nel territorio di chi viene attaccato; a quale dei due abbia bisogno di soccorso i Cartaginesi forniscano le imbarcazioni sia per l’andata sia per il ritorno, e gli uni e gli altri gli stipendi ai rispettivi uomini. I Cartaginesi portino soccorso ai Romani anche per mare, se c’è bisogno. Nessuno costringa gli equipaggi a sbarcare contro la loro volontà”. »
Si nota subito un miglioramento delle condizioni per Roma, un riconoscimento della sua accresciuta potenza militare ed economica, mentre Cartagine mostra una maggiore debolezza, frutto, probabilmente, delle ormai secolari difficoltà in Sicilia. Le due città non dovettero poi richiedere l’aiuto dell’altra, ma si vede chiaramente che i Cartaginesi tendevano ad assegnare a Roma il compito di portar loro aiuto nel settore (guerra terrestre) in cui erano sensibilmente inferiori. I Cartaginesi si sarebbero limitati a finanziare solo parte delle spese. Appare chiaro che Roma, pur se maggiormente considerata, veniva tuttora sottovalutata nella sua determinazione a crescere. Nell’ottica dei Punici, i Romani dovevano sembrare qualcosa di simile ai rozzi mercenari italici che gli “evoluti” Cartaginesi e Greci utilizzavano nelle loro incessanti guerre.

Rovine di Cartagine
Rovine di Cartagine

Per contro, si può pensare che sia stato proprio quest’ultimo trattato a far capire ai Romani la portata dello sviluppo, l’importanza e la potenza raggiunte dalla loro Repubblica. E, soprattutto, i veri limiti della potenza di Cartagine. Prima “snobbati” e poi blanditi dai Cartaginesi, è possibile che i Romani abbiano compreso che, avendo sconfitto Pirro che a sua volta aveva sconfitto i Cartaginesi, bastava allungare le mani per conquistare la ricca Sicilia, la sua cultura e soprattutto le sue riserve di grano. Nel 275 a.C. Pirro venne definitivamente sconfitto a Maleventum (Benevento), lasciando così campo libero ai romani che sempre più consapevoli della loro forza non si sentivano inferiori più a nessuno. Nel 264 a.C., quindici anni dopo, scoppiava di fatto la prima guerra punica.

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